I grandi eventi autunnali che omaggiano la vitalità di Venezia
- 04/09/2023
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Dunque… quale sarebbe la storia di questo dolce carnascialesco?
La storia delle frittelle risale alla seconda metà del ‘300 e la ricetta originaria è ancora conservata tra documenti dell’epoca in un documento di gastronomia, oggi custodito a Roma presso la Biblioteca Casanatense.
La versione rinascimentale delle fritole (frittelle in veneziano) fu inserita negli appunti di cucina di Bartolomeo Scappi contenuti in una miscellanea di documenti al Museo Correr a Venezia.
Testimonianze rivelano che nel ‘600 venivano preparate in piccole baracche di legno lungo “la strada dai fritoleri”. I veneziani che per sottolineare la loro importanza e ufficialità si costituirono creando la “corporazione dei Frittolieri” che rimase attiva fino alla caduta della Repubblica di Venezia. La corporazione era formata da settanta componenti all’origine e ognuno aveva la propria area dove poteva esercitare in esclusiva l’attività commerciale, con la garanzia che a loro sarebbe potuti succedere solo i figli senza obbligo di garzonato. In questo modo tramandavano l’arte e l’attività in famiglia di padre in figlio. Solo in assenza di eredi il gastaldo dell’arte provvedeva a scegliere il sostituto, poi sottoposto all’ approvazione della Giustizia Vecchia”.
Nel Settecento la fritola fu proclamata “Dolce Nazionale dello Stato Veneto” ma non è chiaro se, nel solo periodo carnevalesco, visto che la frittura veniva fatta in grasso di maiale, o durante tutto l’anno con la versione fritta nell’olio. Questa attività ebbe fine solo negli ultimi anni dell’800.
Gustose, fatte con lo strutto, il latte di capra e lo zafferano, hanno ispirato commediografi e pittori, tanto da diventare protagoniste di opere e dipinti famosi.
Hanno offerto spaccati di quotidianità godereccia e lasciva che andava oltre la gola. E sono arrivate fino a noi, svelando una Serenissima popolare e nobile, talvolta mascherata nel più bel Carnevale del mondo.
Lo spiedino di fritole
A contribuire ulteriormente al successo di questo dolce furono alcune opere d’arte…
… Comparse con Orsola la fritolera nel “Campiello” di Carlo Goldoni (1756) o protagoniste ne “La venditrice di frittole”, dipinto di Pietro Longhi datato 1750 e conservato a Ca’ Rezzonico, Museo del Settecento veneziano, le fritole rivelano sempre figure gioviali che assaporano la Venezia da bere (nelle Malvasie e nei San Marchi) e da mordere.
Il quadro di Longhi è una fotografia, un corsivo in cronaca, la caricatura di un nobile che acquista le fritole da regalare a due belle fanciulle come un mazzo di rose.
E’ grazie a lui che sappiamo che venivano infilzate in uno spiedo e si mangiavano calde senza ingessì le mani.
Sono molti inoltre anche i passi letterari nei quali si parla di questo gustoso dolce.
Secondo quanto riportato in un libro antico, «alle fritole s’accompagnava la malvasia, vino originario di Malvasia, città dell’Epiro, l’antica Epidauro”.
Nel 1800 il nobiluomo veneziano Pietro Gasparo Moro descrive così i fritoleri: «Hanno sempre sul davanti un pannolino che s’assomiglia al grembial delle donne, che sembra venuto allora fuor dal bucato. Tengono in mano un vasetto bucherellato con cui gettano del continuo zucchero sulla mercie, ma con tal atteggiamento che par vogliano dire: e chi sente l’odore e il sapore di questa cosa che noi inzuccheriamo?».
Mentre lo storico Giovanni Marangoni scriveva: «Cuocitori e venditori a un tempo, impastavano la farina sopra ampi tavolati per poi friggerle con olio, grasso di maiale o burro, entro grandi padelle sostenute da tripodi. A cottura ultimata le frittelle venivano esposte su piatti variamente e riccamente decorati, di stagno o di peltro. Su altri piatti, a dimostrazione della bontà del prodotto venivano esibiti gli ingredienti usati: pinoli, uvette, cedrini».
Della frittella parla anche Goldoni nella sua Commedia il Campiello scritta nel 1756.
La scheda dedicata all’opera da Michela Dal Borgo, operatrice di lungo corso presso l’Archivio di Stato di Venezia, nel catalogo della mostra “Acqua e Cibo” racconta che” Ai fritoleri spettava il ius di vender qualunque frittura, sia polpette, raffioli et altre fritture aspettanti al detta arte in pastela, in oglio et untumi”
Ma l’origine della Frittella sembra essere ancora più antica… Le ricerche più recenti e i divulgatori più autorevoli come Giampiero Rorato parlano di una preparazione risalente ai tempi degli antichi romani conosciuta come “globulos” (globo) che “mescolato con cacio e “alica” si fa della grossezza desiderata e si tuffa nel grasso bollento in una padella di rame” o di “pietanza di pasta molto tenera a forma di luna, che viene fritta nell’olio, quindi mangiata con miele o zucchero” che risale addirittura all’XI secolo d.C. ed era molto diffusa in Egitto e Siria.
Ma è a Bartolomeo Scappi, cuoco di cardinali e papi, rinomato autore dell’opera Venezia 1570, che dobbiamo quella che viene universalmente riconosciuta come la ricetta storicamente più autorevole.
Lo scritto imponente di Scappi, diviso in ben sei volumi, primo trattato post medievale che ha rivisitato cibi, pietanze e cotture, ha dedicato alle frittelle e alla loro preparazione il cap. CXXXVI del Libro V. Sappiamo così che la vera frittola veneziana non era fatta con burro ma con strutto caldo e freddo, con “quattro oncie d’acqua rosa, et un poco di zafferano, et sale a bastanza”,con 24 uova fresche, due libbre di farina, sei “oncie di butiro fresco, et quattro oncie di zuccar”.Prima di passare all’impasto, però, Scappi consigliava di far “bollire sei libre di latte di capra in una cazzuola ben stagnata”.
Nel 1700 le frittelle furono elette dolce nazionale della Repubblica Serenissima.
Anche se l’autentica frittella rimane comunque quella veneziana, in tutto il Veneto si diffusero ricette locali, con frutta come le mele o pere, con fiori, ortaggi, in certi casi perfino con erbe spontanee come la Maresina (nell’Alto vicentino) e ancora con la ricotta, il riso e la polenta.
La ricetta originale delle frittelle di Carnevale Veneziane
L’impasto da preparare per le frittelle alla veneziana è un lievitato dolce, quindi serviranno:
Prima di iniziare a preparare l’impasto, ammollate l’uvetta in un po’ d’acqua (o grappa) per farla rinvenire, inoltre ricordatevi di tirare fuori dal frigo il burro per farlo ammorbidire, ed infine fate sciogliere il lievito in un po’ di latte tiepido.
Impastate insieme farina, zucchero, uovo e burro, poi aggiungete il lievito sciolto e il resto del latte. Unite quindi la buccia di limone e l’uvetta. L’impasto sarà della giusta consistenza quando risulterà elastico e un po’ appiccicoso, infine lasciate lievitare per qualche ora.
Per cuocerle fate scaldare l’olio e, utilizzando due cucchiai o un porzionatore da gelato, versate una pallina di impasto nell’olio bollente.
Fatele asciugare utilizzando della carta assorbente, spolverate con un po’ di zucchero e servite tiepide e perché no…. provate ad infilarle negli spiedini….
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